ODIANDO LEBRON

di Stefano D’Andrea

Io sono un suo hater, devo dirlo prima di tutto, ma ciò non toglie che sia dotato di spirito critico. Lebron James è senza dubbio uno dei più straordinari atleti dello sport mondiale, e un eccellente giocatore di pallacanestro. Non è un molestatore e non è un malfattore. Non ha evaso le tasse e non ha tradito sua moglie. Non organizza lotte tra cani e non sta stancando l’Nba con le sue vittorie da cannibale, dato che si è aggiudicato (a tutt’oggi) un solo titolo, in dieci anni di carriera, non più valido di quello che tiene in casa, ad esempio, il piccolo portoricano J.J. Barea. Ha avuto un’infanzia difficile e degli oltre sessanta milioni di dollari che guadagna all’anno, molti vanno in beneficienza. Eppure da alcuni anni è l’atleta più odiato del mondo. Dei motivi ci saranno, mi sono detto quando ho sentito crescere anche in me questo sentimento, che il suo sguardo, mai cattivo o rancoroso, non sembra meritare. E allora li ho cercati.

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La carriera di colui il quale è stato chiamato alternativamente “The Choosen One” (il Prescelto) o “King James”, è ben descritta da Wikipedia, e tra le righe si rintracciano già alcune caratteristiche che possono rendere il ragazzone di Akron un personaggio discutibile. Intanto parla di sé in terza persona. È strano, anche se, tutto sommato, lo faceva anche Diego Armando Maradona. Poi è uno che ha sempre dato l’impressione di essere una spanna più forte di tutti ma mai abbastanza da risultare vincitore nelle competizioni importanti, mai grande tra i bimbi grandi. Una specie di Ibrahimovic, per rimanere nel calcio, non certo un Iniesta. C’è anche il fatto che lui, a differenza di ciò che accade con gli sportivi americani in genere, durante il gioco finge si essere stato colpito anche quando ciò non succede, si lamenta sempre dei fischi arbitrali e aumenta in modo universalmente riconosciuto (tecnicamente flopping) l’effetto dei contatti di gioco, per mendicare una chiamata a favore. Tipo Pippo Inzaghi.

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Dopo alcuni anni passati nella squadra di Cleveland (lui è originario dello stato dell’Ohio), divenuto proprietario del proprio cartellino, ha messo in piedi nel 2009 la più grande baracconata mediatica nella storia dello sport, per arrivare all’intervista chiamata “The Decision”, in cui ha rivelato quale squadra avrebbe scelto per il proprio futuro.

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Non solo ma, tra quelle che lo desideravano, ha scelto Miami (la squadra che “tutti gli appassionati Nba hanno una propria squadra preferita, ma poi tutti tifano anche per chiunque si frapporrà tra i Miami Heat e il titolo) in spregio alla propria franchigia di origine. Certo, sono tanti gli atleti di valore che hanno accettato l’invito di una squadra già forte, pensando che così prima o poi una vittoria sarebbe arrivata. Lo ha fatto anche Roberto Baggio, salutando Firenze per andare alla Juventus. Vero. E l’han presa tutti bene.

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Lebron, poi, è stato dotato dalla natura di mezzi fisici straordinari, e un talento naturale; e questo può scatenare una specie invidia mista a pretesa, come capita per esempio con Mario Balotelli o Cristiano Ronaldo. È una star mondiale, da quando era ancora alla high school.

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Poi c’è l’episodio della tosse. Durante una delle finali giocate e perse da Miami, Dirk Nowitzki, campione tedesco in forza ai Dallas Mavericks, accusò un’influenza. Lebron e il sodale Dwayne Wade, durante una conferenza stampa, mimarono grossi problemi respiratori per bullare l’avversario (non si sa se non credendo alla sua presunta malattia o prendendosene semplicemente gioco). “Wunderdirk” e i suoi compagni, da sfavoriti, vinsero il titolo, fra la gioia di molti. Eppure anche questo è già stato fatto, nel passato, da Eric Cantona, per esempio. E non è bastato a farlo odiare (anzi).

Tante piccole cose, insomma, ma nulla di trascendentale. Molti indizi ma nessuna concreta spiegazione di tanto astio verso una persona sola. Qualcuno potrebbe però supporre una sorta di effetto “accumulo”. Il peggio di tutti i giocatori di calcio appena nominati, racchiuso in un solo atleta (per fare un esempio) potrebbe, in effetti, dare un risultato devastante. È una buona strada, c’è molto materiale. Ma non basta. E allora sfoglio le fotografie sui siti degli haters come me. Perché lo odiamo così tanto? Guardo immagini di stadi che lo accolgono, di fans che gli scrivono, di giornalisti che lo intervistano. E poi una ricorrenza salta ai miei occhi come se vedessi tutto per la prima volta: la sua faccia.

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Lebron James ha una faccia da pirla, e lo vedono tutti. Per essere una persona sgradevole ma rispettata devi averne il fisico, e non intendo solo i muscoli. Per fare la faccia cattiva non si può avere una faccia da pirla (idem per ogni altro tipo di faccia). E King James non ha il viso di un re. Ha l’espressione di un ragazzone poco sveglio. Di uno che scherza senza saper scherzare e spara senza voler colpire. E non è tollerabile, evidentemente, che uno così si comporti cosà. Non se lo può permettere. Ecco da dove arriva tanto scontento.

E allora:

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Informazioni su Stefano D'Andrea

Stefano D’Andrea, nasce e risiede a Milano, ma si è formato tra Roma, Bologna e New York. Ha inventato il Gatto Morto. Nelle librerie c'è Il padre è nudo (Baldini+Castoldi) e Umani a Milano per Progetto Arca (Gribaudo).
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Una risposta a ODIANDO LEBRON

  1. Gabriele ha detto:

    Non sta simpaticissimo neanche a me ma di titoli ne ha vinti due…

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