Weekend a Rho

di Stefano D’Andrea

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(mentre racconto questa  storia al Pinch; foto di Matteo Caccia)

Una volta ho fatto un weekend a Rho. Prima Rho era solo un nome sull’autostrada ma dopo che ci ho passato un weekend è diventato un posto da consigliare. Questo weekend l’ho fatto a settembre. Ho preso e sono andato a Rho. Che già se dici Rho un po’ di volte fa ridere.

Una volta sono andato a fare un weekend a Bereguardo, che già è strano, ma insomma c’è il Ticino, può anche avere un senso. Quindi mi piacerebbe dire che sono andato a fare un weekend a Rho perché è snob, vai in periferia e fai il figo, cose così, ma invece ci sono andato per un altro motivo.

È che verso la fine di agosto ho deciso di mettermi a dieta. L’estate è il momento in cui tutti si vedono nudi e capiscono esattamente cosa sono. Anzi a settembre è peggio perché è il momento in cui guardi le foto dell’estate.  Mia sorella mi aveva detto da mesi che dovevo fare qualcosa e mi ha consigliato questa dottoressa francese che tiene dei corsi di full immersion sulla biopsico genealogia. A settembre ho detto ok, mi iscrivo. Poi scopro che il corso dura due giorni, è residenziale e si svolge in un hotel di Rho, dalle 9 alle 18 sabato e domenica. Io non ero mai stato a Rho. Ho dovuto pensarci bene prima di dirlo, ma è proprio così.

Quel sabato mattina alle 7 sono sveglio e faccio un elenco di tutte le cose belle che ci possono essere da fare in un weekend. È lunghissimo. Quindi vado davanti allo specchio e mi guardo. Noi uomini non ci guardiamo troppo allo specchio. Negli spogliatoi dei campi di calcio o di basket non ci sono specchi. Poi penso che ho già pagato, quindi faccio un’abbondante colazione, prendo la macchina e vado a Rho.

Già andare a Rho ha un che di epico. Seguendo il Tuttocittà (perché io non possiedo uno smartphone) passo sotto ponti, svincoli e arrivo in fondo a una strada completamente deserta che da una parte hanno magazzini e dall’altra l’autostrada. Lì c’è il ridente hotel che ospiterà i poveracci dell’Expo ma che intanto offre i suoi spazi alla dottoressa francese.

Ovviamente non sono l’unico ad aver visto le proprie fotografie dell’estate. Veniamo accolti con grande gentilezza e ci viene data una spilletta con sopra scritto il nostro nome. La sala è a piano terra e ha delle enormi vetrate che si affacciano sull’area antistante l’albergo. La dottoressa francese ha due assistenti, due donne. A partecipare al seminario siamo in ventuno, io e venti donne. Venti ciccione.

Quando mi rendo conto di essere destinato a essere l’unico uomo tra ventitré donne, per due giorni, mi assalgono diverse emozioni. Da un lato penso che la cosa potrebbe avere anche dei risvolti interessanti. Dall’altro però penso che chi è qui non ha un buon rapporto col proprio corpo quindi probabilmente non è particolarmente pronto a sperimentare delle attività sessuali promiscue.  Dopo la prima ora in cui nessuno dice nulla, siamo tutti terrorizzati e parla solo la dottoressa francese che si presenta e introduce il corso, lei si volta verso di me con un misto di schifo e di ammirazione. Non sa se chiedersi se mi sono imbucato tipo Fight Club o se sono solo un uomo coraggioso. Siccome sono grasso credo pensi alla seconda ipotesi ma non sa ancora chi io sia e non mi ha inquadrato. Comunque mi indica e mi nomina, perché è chiaro che tutti l’abbiamo notato, che sono l’unico uomo ciccione presente. Appena mi alzo per salutare esplode un enorme applauso. Cioè tipo alla ragazzina che ha parlato all’Onu e ha vinto il Nobel per la Pace. La cosa bella è che io credo davvero di essermelo meritato e quindi ringrazio con quel sorrisino di chi fa il modesto ma si sente molto figo.  Questo è l’apice del weekend.

Il resto va tutto in vacca velocemente.

Il corso è pieno di buone norme e riflessioni intelligenti ma si trasforma presto ovviamente in un tragico sfogatoio, e io che ho fatto anni di psicoterapia non ne ho bisogno. Però sono una buona spalla, quindi lo prendo come un fioretto. So che uscirò più grasso di prima ma mi sentirò una persona migliore, che è l’unica cosa che conta.

Dopo la prima mattina c’è un pranzo comunitario e, mentre tutte rimangono è tutto compreso, io ovviamente scappo a mangiare un toast a Milano.  Quando le ciccione mi vedono tornare dopo che mi hanno visto andare via con la macchina scoppia un altro applauso. E io mi prendo anche quello, tutto fiero, non è chiaro bene di cosa.

Nel pomeriggio comincia la parte difficile, iniziano gli esercizi. Le persone prese una a una sono tutte dolcissime, coraggiose e ammirevoli e sono contento di averle conosciute, ma prese tutte insieme sono piuttosto ridicole.

Il primo esercizio consiste nel mettersi a trenino e massaggiare la schiena della persona che hai davanti, e poi la testa.  Dopo qualche minuto ci si deve girare a si fa lo stesso. Io mi trovo tragicamente a mio agio.

Più avanti si inizia a parlare dei motivi del nostro sovrappeso e si propone l’ipotesi che in qualche trauma legato al parto o a un abbandono o a un lutto si nasconda tutto il male. Solo che va rintracciato. Ovviamente tutti abbiamo un trauma e quindi tutti lo raccontiamo e quindi tutti piangiamo disperati. Io a dire la verità no, perché se piango ancora dopo vent’anni di psicanalisi allora faccio causa a Freud, ma chiaramente partecipo al dolore generale. E’ come assistere a un enorme vomito liberatorio.

Le donne liberate vengono spinte a ballare e cantare, è un esercizio di consapevolezza di sé e del proprio corpo. Io sono terrorizzato e sto attaccato alla parete. Ovviamente le donne liberate sono possedute come in un sabba e mi trascinano in mezzo a loro e mi fanno ballare, un po’ tipo saloon dei film western, sai quando spari nei piedi del malcapitato.

Io ballo male e loro ridono tantissimo. Forse ridono di me, non lo so più. Sono un po’ spaventato.

Ci si risiede e si inizia una specie di esperienza di trance in cui bisogna chiudere gli occhi e visualizzare una persona sovrappeso e una magra, una nella mano sinistra e una nella mano destra, e quella magra deve convincere la grassa che è meglio essere come lei. Io chiudo gli occhi e nella mia mano sinistra trovo mio nonno, grassissimo, a Roma, morto che avevo 5 anni, uno che mi diceva che ero forte perché mangiavo la pastasciutta che faceva lui e nella mano destra trovo Keith Richards a torso nudo, strafatto di cocaina, sdraiato su un trono dorato, con la chitarra tra le mani. Io tengo gli occhi chiusi e faccio come dice la dottoressa e avvicino le mani.  I due si incontrano e Keith Richards non dice niente a quel ciccione di mio nonno ma lo prende sottobraccio e se ne vanno insieme.

L’ultimo esercizio della giornata è il più difficile. Bisogna girare a caso nella stanza e, quando incontri qualcuno, devi fare un complimento sincero a un’altra persona. L’esercizio è che quella persona deve accettarlo senza sentirsi in dovere di ricambiare, ma dicendo semplicemente grazie. Io non so che dire perché non so chi cazzo siano queste persone e non riesco a inventarmi complimenti gratis. E allora va a finire che giro e mi prendo del “hai una bella barba” o “se un brava persona” e continuo a dire grazie.

A sera telefono a mia madre e le chiedo se durante il parto era successo qualcosa di strano. Lei dice che è stata la mamma migliore del mondo e lei un po’ scherza. Poi mi dice che domani mi aspetta a pranzo. Io le dico che non so se posso perché ho il biglietto di una partita a San Siro. Non dite a mia madre che quella domenica non sono andato a pranzo da lei perché avevo la seconda giornata del mio weekend in mezzo alle ciccione. Il mio weekend a Rho.

Informazioni su Stefano D'Andrea

Stefano D’Andrea, nasce e risiede a Milano, ma si è formato tra Roma, Bologna e New York. Ha inventato il Gatto Morto. Nelle librerie c'è Il padre è nudo (Baldini+Castoldi) e Umani a Milano per Progetto Arca (Gribaudo).
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