La Guida di Vice (o dell’Oltreuomo) al Mar Rosso

Quando Vice mi ha chiesto di scrivere un pezzo sul Mar Rosso ho pensato che dopo D.F Wallace non ci fosse più niente da dire sulle vacanze organizzate. Ma poi ho guardato i vantaggi della formula “Hard Inclusive” e ho accettato. Il Fayrouz Resort è un hotel a 5 stelle belga che ospita gente da tutta l’Europa del nord, e sta in mezzo al nulla, a cinque chilometri dall’aeroporto di Marsa Alam (proprietà dei tre figli del defunto sceicco denominato Il Magnifico), al bordo di una barriera corallina che accoglie una fauna che per fortuna è già ben documentata dal National Geographic e che, pur essendo la meraviglia naturale più variamente colorata della Terra, nulla c’entra con il turismo in Egitto. La gente non va veramente per vedere pesci picasso, barracuda, tartarughe o dugonghi (io comunque, nel dubbio, li ho visti tutti). E allora perché? Per rispondere a questa domanda ho dovuto starci una settimana.

È da sapere che qui una volta qui ci abitavano i beduini ai quali bastava buttare una rete in acqua per tirar su quintali di pesce (dei cui colori se ne sbattevano altamente, d’altronde come non capirli, nemmeno a noi fa tanta tenerezza la brillante pelle rosa del maiale, quando la pensiamo sotto la forma estetica di pancetta). Poi all’arrivo del primo di una lunga serie di capi di stato militari, come mi informa l’addetta alle relazioni con gli ospiti, Giuly, che da piazza Piola è approdata ad Al Quesir attraverso una malcelata strada di anoressia e bulimia e che ci accoglie con un cocktail all’ananas con fondo menta mentre ci indica una coppia di giovani anziani che, da un paese vicino a Gatwick sono venuti qui diciannove volte in tre anni, i beduini sono stati cacciati nel deserto per far spazio alle strutture alberghiere. Niente di male, tanto nel deserto ci sono i cammelli e molto spazio per piantare le tende e accogliere i turisti che fanno una pausa durante la motorata in quad. Già, perché da quando hanno scoperto che in Europa il sole è una merce rara soprattutto d’inverno, gli egiziani (popolo di antica sapienza, vedi alla voce “un discreto architetto + tanti schiavi = le Piramidi”) hanno intuito le potenzialità di quello che per loro era solo un nemico da cui difendersi. Con contorno di pesciolini. E così nasce il Mar Rosso.

In un posto come il Fayrouz la vita costa poco, molto poco. Facendo due conti qualcuno ha suggerito che con circa millecinquecento euro al mese una coppia di ceto medio può vivere nel lusso, mentre con quei soldi a Bruxelles devi scarpinare. Già, perché la formula All inclusive significa davvero TUTTO. In qualsiasi momento della giornata puoi scegliere se mangiare o bere ciò che vuoi, chiedere di farti rifare la stanza (spaziosa e accogliente), girare per giardini fioriti, stare in spiaggia, andare in palestra (con SPA), chiacchierare con i nuovi ospiti, che portano con sé nuove lingue, culture, volti e soprattutto storie, o comporre un quartetto d’archi, magari all’ombra delle palme (e qui non ci sono zanzare). Bene, ma che noia, si dirà. Giusto. Ecco il motivo per cui esiste l’alcol. La formula Hard inclusive consente di vivere costantemente sotto l’effetto del gin (rigorosamente locale), con un moderato sovrapprezzo. Certo, per il Negroni devi pagare, ma nulla è perfetto (a proposito, c’è anche un dottore, fisso, in caso di bisogno).

Se avete la carnagione un po’ più scura di quella di un bavarese, e siete fortunati, qualcuno vi proporrà “La via di Mohamed” (io l’ho letto, non è male, assomiglia alla Bibbia, all’inizio della storia c’è l’Altissimo che prende Abramo, e sua moglie, e ordine di uccidere il figlio e li mette nel deserto senza acqua, per poi all’ultimo dire che era tipo uno scherzo e allungare una borraccia, e allora automatiche eterne lodi all’Altissimo). Ma il più delle volte incrocerete persone che (pare che nel Nord Europa vada alla grande) vestono in maniera molto organizzata. 

Gli italiani sono amati perché meno sgradevoli degli altri, all’aspetto, ma anche temuti, perché vogliono sempre spostare i tavoli, e poi discutono sul cibo. In ogni caso si fanno riconoscere per il volume delle loro voci. Quasi tutti gli altri invece girano a coppie come i carabinieri. E anche loro indossando la medesima divisa. Su questo punto purtroppo non ho una teoria.

La vita al Fayrouz è vivace, noi partiamo e arriviamo il sabato e la domenica, i tedeschi il martedì, belgi e francesi il giovedì e gli inglesi il venerdì, ma non c’è mai confusione e nulla sembra fuori posto anche perché il personale raccoglie ogni petalo di fiore non appena tocca terra, e ridipinge di nero il palco dell’anfiteatro ogni quattro settimane. Già, l’anfiteatro. Perché nel suo piccolo anche il Fayrouz ha un’animazione, nonostante se non te lo dicessero non te ne accorgeresti. La logica è: “Vuoi Elvis Costello alla Royal Albert Hall? Allora stai a Londra. Ma se ti accontenti di quattro ragazzi che ballano e fingono di cantare, sei il benvenuto”. Purtroppo non ho mai visto nessun evento della sera, perché mi sono fatto prendere dalla logica del tempo naturale e ho dismesso l’orologio. Ogni volta che sono passato dalla zona del divertimento, costruita sotto il livello del suolo per separarla acusticamente dagli altri spazi, lo spettacolo era appena finito e qualcuno mi sorrideva dicendomi “Thank you for coming”. Sì, la sensazione di vivere dentro a un Truman show era piuttosto forte, e nemmeno la presenza dell’italiano che dice “Qui scatta la denuncia, eh” per il ritardo di un’ora nella consegna della camera, sembra disturbare la quiete sedata dell’ambiente. È tutto tranquillo. Tutto troppo tranquillo. Non mi piace.

Dopo il terzo giorno la mia routine si cristallizza. Alle 5 punto la sveglia e vado a vedere l’alba sul mare (ora ho capito perché lo chiamano “rosso”). Sarà l’ultima volta che vedo le lancette di un orologio. Poi barcollo verso la colazione e chiacchiero con i camerieri (conoscono tutti bene almeno tre lingue e propongono battute che fanno ridere), poi con alcuni nuovi arrivati. Quindi spiaggia. Sdraiato su un materasso che fa sembrare il mio letto di Milano un tavolo operatorio, osservo le rare ma interessanti bellezze femminili e immagino cosa farei se non fossi obbligato alla morigeratezza del reporter. A volte passeggio verso la baia a fianco (circa 1km) dove nuotare tra le tartarughe grandi tre volte me mi riporta a un’era primordiale, con seguente sovrapproduzione di endorfine. Dal mio iPad (free Wi-Fi ovunque, chiaramente) apprendo di luoghi dove scoppiano bombe tra i bambini o si rieleggono presidenti quasi novantenni. Sento che ciò dovrebbe mettermi angoscia. So anche che sulla strada tra Marsa Alam ed El Quesir, nel tratto dove soggiorniamo noi, sono di pattuglia molte unità dell’esercito, e credo che l’effetto “bolla” dovrebbe suscitare in me un sentimento negativo. In camera scrivo, nella brezza del pomeriggio di aprile. Mai meno di 15 mai più di 30 gradi. Secco. Poi rimangio. Molta frutta (le banane sono ottime). Ogni giorno il cuoco prepara dei menu dedicati a una nazione europea. Il buffet è sempre pulito, e non finisce mai niente. Il profumo è lo stesso che senti per le strade di New York. Sono circondato principalmente da vecchi, di ogni religione e razza, di ogni orientamento sessuale, probabilmente qualcuno era a scuola con l’ex Papa. Vestono sempre tutti uguale. Non capisco.

Imparo un po’ di arabo. Leggo libri sul Corano. Leggo il Corano stesso. Al tramonto mi viene quasi da cercare la Mecca. Sarà perché mi hanno detto che, siccome ho la barba, credo, ho l’aspetto di una persona buona ( = che può essere convertito). Parlo di calcio con degli inglesi, di politica con degli svizzeri e di birra con dei danesi. Gli svedesi mi mostrano delle nuove creme solari che proteggono ma lasciano abbronzare un po’. Coi belgi mi viene solo di occuparmi di miniere e pedofilia, tuttavia mi sforzo di buttarmi sull’annosa questione dell’antipatia dei francesi, con annessa distinzione tra i parigini e “gli altri”. Tutto ciò che non tollero. Tutto esattamente come David Foster aveva raccontato, compresa la comica figura del Direttore, uno molto elegante e gentile che fuma shisha tutto il tempo e che il personale chiama “il mafioso”. Eppure non entro in angoscia. Non mi sento oppresso e non desidero scappare. Giovedì sera mentre osservo una pioggia di stelle cadenti sorseggiando birra e ascoltando Damien Rice con il mio iPod, finalmente colgo il punto.

Ci hanno sempre detto che devi conquistarti quel che hai, che i figli dei ricchi sono infelici e in genere si suicidano, che a chi ha la pancia piena gli si spegne la vita. Sono anni che sento quella morale, e in fondo credo di esserne convinto anche io. E invece il cazzo. Ci vogliono fregare. Vogliono farci credere che essere fortunati sia una sfortuna, che essere serviti e riveriti renda deboli, che leggere Madame Bovary sia meglio di una bottiglia di Amarone. E ci stano riuscendo! Ma è qui, sul Mar Rosso, che si è aperto il fronte della rivoluzione low cost, che migliaia di uomini e donne silenziosamente raggiungono la Consapevolezza, percepiscono la fondamentale Verità: stare bene è meglio che stare peggio. Nonostante ce la mettiamo tutta per cambiarci, restiamo degli animali (e sto usando la parola in senso letterale). Veglia, alimentazione, riposo, evacuazione, accoppiamento, etilismo, calcio, sono questi i bisogni da soddisfare prima di ogni altra cosa e al massimo livello; il resto verrà da sé. La qualità con cui verremo saziati provocherà diversi livelli di benessere. Al Fayrouz io sono approdato a una soglia molto elevata. Ciò fa di me un parassita? Forse. In quello stato non potrei scrivere nemmeno uno dei Quarantanove racconti? Molto probabile (ma non solo per quello). Laggiù Van Gogh non avrebbe mai nemmeno preso in mano un pennello? Probabile. Anzi sicuro. E sti cazzi? Per la modica cifra di … (contattate il vostro agente di viaggio), invece che combattere con l’omino della raccolta differenziata o, peggio, quello delle tasse, potrete dedicarvi a tenere per mano la persona che amate, mentre passeggiate verso una crepe alla banana, in un’ora imprecisata del giorno (o della notte). 

Ecco di cosa parliamo quando parliamo di Mar Rosso. Finché un giorno i russi arriveranno anche qui. 

Stefano D’Andrea

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Perché Lebron James è una iattura per il basket

di Stefano D’Andrea

Questo cristone dell’Ohio è probabilmente il combinato disposto di forza, velocità, elasticità, esplosività e resistenza più importante dell’intero pianeta, inoltre ha un eccellente ball handling e conosce il gioco. Ha infine il pregio di aver scelto da piccolo la maglia numero 23. Non è un cattivo giocatore, questo è chiaro: buoni fondamentali, gran controllo del corpo, voglia di vincere.

Tuttavia Lebron James è la cosa peggiore che sia successa al più bello sport del mondo. Ogni bambino a cui Lebron viene mostrato come esempio è destinato al dispiacere, alla frustrazione e a peggiorare il gioco.

Perché.

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Floppare: Lebron è noto a tutti perché quando subisce un fallo esagera nella reazione (tipo Pippo Inzaghi, per capirsi, e lo dico da tifoso milanista). Nel basket di solito ciò non succede, anzi vengono presi in giro i pochi che lo fanno. Lebron in USA viene chiamato Leflop. La gente si burla di lui. Un bambino che vede Lebron giocare, vincere ed essere osannato, invece, penserà che quello del floppare sia un comportamento giusto, e quindi fingerà di aver subito un danno quando invece non l’ha subito o metterà le mani in faccia per mostrare di aver ricevuto un colpo quando invece il colpo non l’ha ricevuto.

E questo non è bene.

 

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Airball: tra i buoni giocatori dell’Nba nessuno tira una quantità di airball così alta come lui. L’airball è un accadimento possibile anche ai migliori, ma quando capita troppo spesso è il sintomo di una carenza tecnica (e non è il suo caso) o di altro, più grave. A lui succede quando invece di stare composto vuole tirare allargando le gambe o buttandosi inutilmente verso sinistra, in pratica facendo il figo. Così facendo a volte non prende nemmeno l’anello. Ricorda quei camorristi che hanno imparato a sparare guardando i film di Tarantino e tengono la pistola di lato, orizzontale rispetto al suolo, e quindi non riescono ad ammazzare nessuno al primo colpo ma devono spararne tanti. Lo riferiscono le forze dell’ordine: da quando è uscito Le iene non ci sono più gli omicidi di una volta. Anche i camorristi vogliono fare i fighi. E fare il figo non è la migliore caratteristica del buon sportivo.

E nemmeno del buon camorrista.

 

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Dimensioni: Wilt Chamberlain e Kareem Abdul Jabbar sono due tra i giocatori più famosi e importanti nella storia del Sacro Gioco, purtroppo però vi sono entrati dalla parte meno interessante e cioè quella del freak estremo. Il basket ad alto livello è un gioco per uomini fuori norma, troppo alti, gente che quando la vedi per strada ti spaventi. Ma può essere giocato anche dai nani (è lo sport nazionale delle Filippine per intendersi) e il Capitano della Nazionale Italiana Campione d’Europa di pallacanestro era alto 1,75. Per il bene del basket prendere come esempio Chamberlain o Jabbar (gente alta tipo quelli del Guinness dei primati, quelli che prendono in braccio persone normali e li fanno sentire come dei cagnolini, scherzi della natura) è pericoloso. Nessuno potrà fare un “gancio cielo”, e nessuno prenderà 50 rimbalzi a partita perché oltre a saper tagliare fuori è anche alto 2,20. Lebron James è oggettivamente un treno e nessuno al mondo è un treno capace di correre e saltare come una lepre quindi quando lui fa dei movimenti da treno (leprato) non va imitato, chiunque lo faccia incontrerò solo fallimenti.

Meglio, per un giovane giocatore, avere come esempio qualcuno da cui imparare, non qualcuno che non potrai mai essere.

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Guardarsi allo specchio: quando Lebron James fa un bel canestro si guarda in giro, e non per cercare lo sguardo del compagno da incoraggiare perché faccia il prossimo, o da ringraziare per il passaggio, o forse da incentivare per l’azione difensiva che sta cominciando, ma bensì per controllare che gli spettatori lo abbiano visto bene, e specchiarsi in quegli occhi. Quello sguardo è tanto più dannoso perché inutile, visto che tutti sono lì per guardare la partita e sarebbe strano se non ci si accorgesse di un canestro. Lebron è narciso, caratteristica che mal si sposa ai giochi di squadra e men che meno al basket. Un giovane giocatore dovrebbe evitare cattivi esempi di questo genere.

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Arbitri: nel calcio o in altri sport che ora non mi vengono in mente ci si gira spesso verso l’arbitro che fischia un fallo o una infrazione, anche quando si è consapevoli del fatto che il fischio è stato giusto, e lo insulta. È ritenuto un comportamento normale. Nel basket no. Lebron, ogni singola volta che gli viene rubata la palla o sbaglia un canestro anche per merito di una buona azione difensiva, si rivolge all’arbitro (a volte mentre il pallone è ancora in gioco e quindi mettendo in difficoltà i propri compagni) per biasimarlo circa il mancato fischio a suo favore. Non solum, sed etiam quando fa canestro a volte si lamenta perché vorrebbe anche aver fischiato un fallo subìto (ma non subìto). Nel basket i giocatori non possono protestare pena il fallo tecnico e/o una reprimenda da parte dei propri compagni. Abituare un ragazzino a protestare lo abituerà a preoccuparsi della propria bella figura invece che del bene della squadra.

Per questo ed altri motivi (non vogliamo qui parlare di THE DECISION) Lebron James è una iattura per lo sport. E’ un ottimo giocatore ma per me è porn basket. Può piacere (a me no), ma non fatelo vedere ai bambini.

I LOVE THIS GAME

NOTA BENE: nelle high school americane dopo quello delle pistole il problema più sentito è quello del LEBRONING (true story).

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Nel parcheggio

di Stefano D’Andrea

Nel parcheggio di un’anagrafe milanese dove ci sono anche una biblioteca, un’ASL e il comando locale dei vigili, un signore anziano su una macchina grigia targata AY (ma il resto non me lo ricordo) fa manovra, molto lentamente. Col paraurti posteriore urta una vettura nera parcheggiata nel posto degli handicappati. Un piccolo rumore e un piccolo bozzo con un piccolo pezzetto di vernice caduta. Con lo stesso andamento inesorabile l’anziano gira il muso verso l’uscita e va. Io e una signora di chiara nascita non europea ci guardiamo. Il cielo è grigio e l’aria è nebbia solida che se cammini ti bagni ma se stai fermo hai solo un po’ freddino. Io scendo dalla mia auto dove stavo ascoltando una rassegna stampa e mi dirigo verso l’interno della palazzina dove trovo due agenti ai quali dichiaro quello che ho visto. I due mi chiedono se ho preso la targa, io ho detto no, è un’auto grigia con un signore dai capelli bianchi e una targa che comincia per AY. Loro escono e guardano a destra e a sinistra. La signora di prima dice loro che ha visto un signore su un’auto colpire un’auto parcheggiata e poi piano piano andarsene. Le chiedono se ha visto la targa, lei dice di no e sorride, e chiede loro come mai non si sia fermato. Loro non lo sanno. Io risalgo sulla mia auto e ricomincio ad ascoltare la rassegna stampa. I vigili rientrano nel comando. La signora riprende il suo sacchetto della spesa da terra e si incammina lungo il marciapiede.
Sono un vigile urbano e lavoro a Milano ma sono nato a Tropea. Appena posso ci torno a riempirmi gli occhi di mare e di luce, il naso di profumi e la pancia di melanzane della rosticceria. A Milano mi trovo bene, ci sono tanti compaesani e non mi sento mai fuori posto. Lavoro in strada ma la mattina faccio un servizio di controllo in centrale, spesso insieme a una collega simpatica, di Legnano. Tante volte mi chiedono cose, perché ho la divisa. Io non posso aiutare quasi mai. Domani vado a cena con la mia collega.
Sono venezuelana e faccio le pulizie nella case. Non parlo bene l’italiano. Lo so perché mi fanno dire due volte la stessa cosa, perché la dico male. Gli unici che non me la fanno dire due volte sono quelli non italiani come me. L’italiano noi lo parliamo male, il nostro modo di parlare lo capiamo solo noi. Noi che non siamo italiani. Io per esempio la marocchina che fa le pulizie al numero 24 la capisco e lei capisce me. Veramente io faccio un po’ finta, ma il senso lo capisco sempre. Forse fa così anche lei. La mattina io vado a fare la spesa al mercato, perché ci vanno tutti. Per fortuna non ho la macchina.
Sono uno stronzo qualunque e a volte accompagno mio fratello a parlare con una psicologa, in consultorio, all’ASL. Mio fratello è grande ma a volte si comporta come se fosse piccolo, soprattutto a scuola. Lui dice che lo fa per ridere però il suo compagno di classe che si è ritrovato l’astuccio pieno di pipì non rideva.
Sono un vecchio, continuo a guidare la mia macchina perché è l’unica cosa che mi fa sentire ancora vivo, che mi fa venire voglia di essere ancora una persona, uno che non ha bisogno dell’aiuto degli altri per andare in bagno. A volte mi cadono le cose di mano e io piango mentre la gente non mi guarda. Quando sono al telefono con mio nipote lui parla veloce e non capisco bene cosa dice. Quando sono triste guardo la televisione ma poi spesso sono ancora più triste. Oggi sono andato all’anagrafe per fare un certificato, la coda non era lunga ma a un certo punto mi è venuta una fitta alla pancia che so che poi devo andare di corpo e anche se ho il pannolone devo tornare a casa, perché cagarmi addosso no, quando mi succederà mi butterò sotto un treno, lo giuro. Un treno delle Ferrovie Nord. Uno che va a Seveso – Meda.
Sono focomelico ma non mi cambierei con nessuno, soprattutto con certi colleghi che non sono focomelici ma sono sempre arrabbiati. Faccio i turni, quindi stamattina sono andato in biblioteca a prendere un cd, un giallo di Simenon letto ad alta voce. Me lo metto in cuffia nel mio lettore cd portatile che ho preso su Ebay e lo ascolto mentre verifico che i pezzi che mi passano quelli dell’altro reparto siano perfetti. Io faccio controllo qualità. Gli smartphone non mi piacciono. Stamattina ho trovato la macchina con un bozzo grosso così. Forse l’avevo parcheggiata male, ma non mi sembrava. Me ne sono accorto dopo che sono tornato a casa e ascoltavo Simenon.
La vita, in certe mattine, è una merda.

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Ragadi

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Una volta il mio amico Andrea ha avuto le ragadi. Si tratta di piccoli tagli dolorosi che si possono formare sui capezzoli, sulle mani o agli angoli della bocca. Ad Andrea le ragadi si sono formate nello sfintere anale. La cura per questo disturbo varia dal luogo dove esso insiste. Per quanto riguarda lo sfintere anale (che i più chiamano buco-del-culo ma che per comodità noi chiameremo sedere), dato che la causa del problema è una scarsa irrorazione sanguigna dovuta perlopiù a una situazione di ipertono muscolare (sedere molto stretto), la cura è rilassare e allargare la parte. L’operazione non deve essere traumatica e deve avere un’efficacia duratura. Le piccole ferite provocano molto disagio e non sono destinate a guarire per conto loro sia perché il sangue, che è il veicolo delle sostanze più curative che il corpo possa produrre, scorre poco in quella zona, appunto, sia perché quotidianamente la zona è interessata da almeno un evento traumatico rappresentato dal passaggio delle feci. Le ferite rimangono aperte e, vista la contiguità con materiale tossico, vanno disinfettate e medicate. Per consentire ai muscoli anali di rilassarsi e al sangue di tornare a circolare in maniera efficace nella zona, esiste una procedura che il paziente può gestire da solo e che, eseguita con pazienza e continuità, porta nel medio termine a una completa guarigione. Si tratta di infilarsi nel sedere un’ogiva di plastica detta Dilatan (una crasi che ricorda l’operazione di dilatare l’ano), e tenerlo in loco per circa mezz’ora, due o tre volte al giorno, a seconda della capacità di sopportazione del paziente. Andrea mi raccontava che per una decina di giorni lui è rimasto a casa sdraiato, cercando di decomprimere i muscoli del corpo, stando al caldo, evitando stress, e infilandosi il Dilatan nel sedere, tre volte al giorno. Il Dilatan ha una dimensione variabile e ogni confezione ne contiene tre, uno piccino (diciamo come il mignolo di una mano), poi uno medio e uno grandicello. Vanno usati in serie partendo dal meno invasivo, che apre la strada in un pertugio patologicamente stretto, in su fino al maggiore. Una volta che saranno trascorsi almeno tre giorni con il Dilatan Grande dentro al sedere per un’ora e mezza al giorno, secondo la letteratura scientifica le ragadi tenderanno a scomparire. Nei primi giorni di cura il problema del paziente è che la parte da trattare è dolente e il Dilatan Mignolo, per quanto piccolo, va a creare un trauma significativo. Ci sono due scuole di pensiero per affrontare questa reazione del corpo, che tra l’altro può rischiare di far contrarre i muscoli ancora di più, come accade sempre quando si percepisce un dolore acuto. L’uso della vaselina per limitare l’attrito è stato superato da due alternative. La prima scuola di pensiero suggerisce di coprire l’ogiva di Luan, pomata che contiene dell’anestetico locale e che viene venduta in farmacia soprattutto a chi fa mercato dei propri orifizi. La seconda scuola propone l’uso di un preparato galenico (da far produrre ad hoc) a base di nitroglicerina. Il principio aiuta la cicatrizzazione, rilassa la parte e ha un blando effetto antidolorifico locale; per converso causa sempre delle cefalee acute (e non va agitato). Le ragadi anali sono un disturbo molto istruttivo. Il mio amico Andrea quando affronta un periodo complicato, quando deve avere molta pazienza per poter sperare di raggiungere uno scopo e non sa come trovare la forza dentro di sé, quando deve fare buon viso a cattivo gioco o deve perseverare in qualcosa, senza troppo discutere, chiude gli occhi e si immedesima in se stesso di quel tempo in cui di fronte a un dolore di livello 7 su scala di10, dentro al sedere, allungava una mano dietro e si infilava un tubo di plastica nell’orifizio sanguinante, percependo il dolore arrivare a 9 su 10, e lo teneva lì con il dito medio appoggiato sulla testa che spuntava, combattendo la forza istintiva del corpo che cercava di espellere un oggetto estraneo che causava un dolore molto acuto. Il tutto per almeno mezz’ora, due o tre volte al giorno, senza proferire parola mai.
Questo un po’ lo aiuta.

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GM

GM-DarthVaderVsPaperotto

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Gatto Morto Stellare

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La Gioia di ricevere in regalo il Gatto Morto

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L’ESTATE ADDOSSO – ESEGESI

di Stefano D’Andrea

L’estate addosso

– Risultato di mille focus group, la parola “addosso” accompagna l’efficace (e poetica) svolta del Cherubini che decide di richiamare il tema dell’estate con una termine dalla forza icastica e, per certi versi, misteriosa: “estate”.
“Addosso”, per i giovani, è parola legata al sesso più di ogni altra, tra quelle radio-trasmissibili, ed evoca frasi come: “Mettersi qualcosa addosso” (dopo un coito rubato mentre i genitori erano via), “C’ho addosso una scimmia…” (molto desiderio sessuale), “Non avevo niente addosso” (il vanto e la stupefazione, nei racconti degli adolescenti maschi, del far l’amore senza l’uso precauzionale del preservativo), “Venire addosso” (la maniera giovane di dire “Ogino Knaus”), “Sentire il suo peso addosso” (nella narrazione dell’esperienza sessuale ad amiche/amici), eccetera.

un anno è già passato
la spiaggia si è ristretta ancora un metro

– Dopo l’Estate e il Sesso, è l’Ambiente il tema più ricorrente nell’opera del Cherubini che con due frasi si pone sulle spalle di Al Gore e sistema tutti i modernisti mettendoli di fronte alla tragedia di un giovane che va in spiaggia e tocca con mano la dura realtà del riscaldamento globale.

le mareggiate
le code di balena
il cielo senza luna

– Rime di una liricità inspiegabile con i semplici mezzi della filologia (tranne il cielo senza luna, la cui soluzione è alla fine della canzone), da risolvere visivamente distraendo l’ascoltatore vestendosi da Elvis.

il gesso a un braccio rotto
la voglia di tuffarsi
guardando entrare in acqua tutti gli altri

– Dopo l’Estate, il Sesso e l’Aambiente ecco che arriva il Coraggio, il quarto tema decisivo nell’opera del Cherubini, che però in questa lirica lo presenta con un tono più scuro, che ci invita a ripercorrere l’intera sua produzione e interpretarla ex novo. Se il gesso (“a un braccio rotto” per amor di precisione, perché a una gamba avrebbe fatto sfigato) evoca altissimi backflip sullo skateboard o risse per salvare bambini dai rapimenti, l’idea di andare in acqua perché lo fanno gli altri racconta l’Amicizia (altro tema caro al Nostro) ma espone anche germi di una critica alla società massificata che il Cherubini combatte da sempre con le sue opere e le sue performance situazioniste, leggendarie, quasi carbonare. Quindi tuffo (coraggio) con gesso (coraggio) ma solo per seguire una moda momentanea? Momento di riflessione.

ma lei mi ha visto
che sono qui da solo
e forse parlerà con me

– L’Amore, il quinto grande tema, associato in questo caso a quello del bullismo (lui è da solo perché vessato e maltrattato dagli altri ragazzi più grossi di lui). Che in questa opera l’Amore sia inserito dopo il Sesso è un segno dei tempi, l’unica concessione del rigoroso Cherubini a una modernità che lo attrae ma che lo ripugna allo stesso tempo (vedi versi successivi).

canzoni estive
minacce radioattive

– Di nuovo parole da futuro Nobel per la Pace, capaci di piegare la felicità del Bene alla banalità del Male, in una estrema crasi ben raccontata dall’efficace pagina facebook dedicata a Rhianna Aarendt. Echi di Fukushima e, chissà, forse anche di Hiroshima.

distanti come un viaggio in moto in due
fino ad un locale aperto fino all’alba
ricordo di un futuro già vissuto da qualcuno

– Sublime omaggio a Ionesco e al suo teatro dell’assurdo.

Prima che il vento si porti via tutto
e che settembre ci porti una strana felicità

– Sublime qui la capacità del Nostro di mescolare il tema romantico, e solo apparentemente semplice, del vento, a quello della felicità del settembre, già caro a Max Pezzali nella rievocazione di quel tempo della gioventù (tema tutto arcadiano), in cui autunno coincideva con incontrare gli amici della scuola, l’odore dei quaderni nuovi comprati all’Upim, delle gomme per cancellare e degli astucci. Qui la filologia diverge ma noi sposiamo la scuola del Contaldo che legge tra queste righe un omaggio a Malala e al suo “desiderio di conoscere” (cit), alla sua voglia di uguaglianza. Settembre quindi come nuovo inizio, l’alba di una nuova era di parità e giustizia per tutti.

pensando a cieli infuocati
ai brevi amori infiniti
respira questa libertà

– Il Cherubini qui incontra il Boccaccio e narra in tre frasi quelle serate passate a mangiare piccante, amare giovani donne e trovarsi con l’intestino angosciato dalla flatulenza, che lui però preferisce chiamare come il suo catamarano ormeggiato a Miami e sempre pronto a salpare per Cuba: Libertà

L’estate addosso
bellissima e crudele

– Per la giovane donna che gli è accanto.

le stelle se le guardi
non vogliono cadere

– Di nuovo Rhianna Aarendt.

l’anello è sulla spiaggia
tra un mare di lattine
la protezione zero
spalmata sopra il cuore

– Un parossistico coacervo d’immagini, l’anello dell’Amore, le lattine dell’Ambiente e la protezione zero, da alcuni erroneamente indicata come tema amoroso e invece legata al Sesso, laddove il cuore non è il cuore, ma un altro organo ormai ben più centrale nella vita del Nostro.

L’estate addosso
come un vestito rosso

– La rima baciata è un lusso che il Cherubini usa con parsimonia e precisione chirurgica.

la musica che soffia via da un bar
cuccurucu paloma
l’amore di una sera
gli amici di una vita
la maglia dei mondiali scolorita

– Colpo di coda che cattura tutta una generazione vissuta nell’eterna incomprensione della canzone d’autore e l’odio manieristico per il giuoco del calcio che però il Cherubini, pur essendo notoriamente avverso allo sport, come si evince dalla mancanza di plasticità dei movimenti che Egli evidenzia per distanziarsi da tutto ciò che è “normale”, omaggiando Majakovskij e Carmelo Bene, recupera con un’operazione degna del Maestro Pezzali. Quindi una nostalgia già di una cosa appena accaduta. Melancholia adriatica.

L’estate addosso
un anno è già passato
vietato non innamorarsi ancora
saluti dallo spazio
le fragole maturano anche qua

– Il megafono per non dimenticare i tumulti degli anni Settanta e allontanare le sirene del capitalismo selvaggio, e poi il divieto e l’amore nello stesso verso a omaggiare l’avvento del nuovo Francesco, Papa Bergoglio, e la citazione finale di Kubrick con un monolito a forma di frutto rosso della passione, la fragolona, che ci appare lassù al posto della luna (vedi l’omaggio ioneschiano) e inizia una nuova civiltà.

respira questa libertà

– Di nuovo il cibo piccante, e l’esortazione alla compagna di quella notte. Una notte difficile ma colma di insegnamenti.

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